Recensione Nomadland di Chloé Zhao

Recensione Nomadland di Chloé Zhao


USA, 2020
REGIA: CHLOÉ ZHAO
DURATA: 108 min.
CAST: FRANCES MCDORMAND, DAVID STRATHAIRN, LINDA MAY, SWANKIE.

TRAMA

Fern è una donna sulla sessantina che vive in una piccola città industriale del Nevada, di recente ha perso il marito e la fabbrica dove ha lavorato per molti anni ha chiuso.

Siamo nel 2011 e la recessione economica ha colpito duramente gli Stati Uniti. Senza più una casa né un impiego, Fern decide così di vendere gran parte dei suoi averi e acquistare un furgoncino, dove di fatto abiterà e grazie a cui potrà spostarsi in varie parti del Paese alla ricerca di lavori precari, dato che il suo fondo pensione non le consente di andare avanti.

Tratto dal libro “Nomadland: Surviving America in the 21st Century” di Jessica Bruder, il film si concentra sul fenomeno sempre più in espansione dei nuovi “nomadi”, persone colpite duramente dalla crisi economica del 2008 – generata non a caso dal crollo del mercato immobiliare – che decidono di vivere in movimento, su un camper o un van, spostandosi di città in città rinunciando a un’esistenza stabile.

LA NUOVA FRONTIERA

Definiti da molti come i nuovi pionieri, queste persone scelgono uno stile di vita sicuramente più spartano, complesso e insidioso da una parte, ma più libero e meno legato al possedimento o al consumismo sfrenato, dall’altra. Similmente ai pionieri nell’Ottocento, appunto, quando si spostavano con le carovane alla ricerca di fortuna e ricchezza verso l’Ovest.

Di quante cose hai bisogno per vivere in modo appagante? Sembra questa la domanda centrale che si pone la pellicola diretta dalla regista Chloé Zhao (nata in Cina e trasferitasi negli Stati Uniti da adolescente) e interpretata da una straordinaria Frances McDormand.

Nei panni della protagonista Fern, l’attrice due volte premio Oscar si cala anima e corpo in un ruolo cucito addosso a lei: anche produttrice del film, la McDormand ha vissuto durante i cinque intensi mesi di riprese proprio come il suo personaggio, vivendo in un van arredato come un piccolo monolocale e svolgendo i lavori più disparati, dall’addetta alle pulizie in un bagno pubblico a cuoca in un fast food o come impiegata in uno stabilimento Amazon.

UNO SGUARDO REALISTICO E TOCCANTE

Non stupisce quindi che l’intera opera risulti vivida e realistica: la regia è in grado di trasportare lo spettatore in prima persona nel girovagare di Fern, come fossimo anche noi parte del suo viaggio che attraversa vari stati nordamericani, dal Nevada all’Arizona, dai paesaggi desolati delle lande a quelli montuosi e desertici, dal rigore dell’inverno al caldo soffocante. Un grande plauso va anche alla straordinaria fotografia di Joshua James Richards.

A metà tra resoconto documentaristico – molti dei viaggiatori incontrati da Fern sono realmente persone che hanno scelto di vivere senza fissa dimora – e toccante narrazione, lo sguardo della Zhao alterna momenti sublimi di paesaggi e panorami mozzafiato alla durezza del quotidiano dei nuovi nomadi, individui rimossi, gli ultimi di una società che ha dimenticato il valore della felicità e delle piccole cose.

LA VITA DA NOMADI

Il fatto che queste persone scelgano di vivere in modo alternativo, allontanandosi dal giogo del “dio denaro”, non si traduce automaticamente in isolamento, tutt’altro: il senso di comunità ne esce in qualche modo arricchito, si privilegiano i rapporti umani improntati all’aiuto reciproco e meno votati all’egoismo.

Con grande abilità “Nomadland” non risulta mai un’operazione volta a celebrare ciecamente questo stile di vita, al contrario mostra sapientemente sia i pro che i (molteplici) contro di quella che è di base una scelta drastica dettata da numerose e disparate motivazioni, siano esse economiche, sociali o personali.

Fern è sicuramente uno spirito libero, una donna che ha subìto un grave lutto e un lacerante ribaltamento delle sue certezze, nondimeno una grande dose di caparbietà e di robustezza d’animo la rendono un prototipo perfetto per condurre una vita che la obbliga a spostarsi frequentemente. Anche nei momenti in cui la tentazione di stabilità è forte, non rinuncia mai alla sua integrità nonostante da fuori possa sembrare una scelta folle.

Il compromesso tra dover svolgere umili lavori e poter essere libera non è assolutamente un ostacolo per lei, bensì l’opportunità per esplorare i suoi limiti e, in fin dei conti, riconciliarsi con l’ambiente circostante.

IL RAPPORTO TRA UOMO E NATURA

Uno dei vari temi che il film affronta è proprio il ritorno al rapporto con la natura, che la vita odierna frenetica e opprimente ha in qualche modo cancellato. In questo senso è peculiare il personaggio di Swankie, una delle amicizie che Fern stringe durante il suo errare: la donna ultrasettantenne (che vive veramente da nomade) le racconta di quanto la sua esistenza sia ricca e appagata per la possibilità di viaggiare e contemplare la natura, come i nidi delle rondini su una scogliera o il posarsi leggiadro dei pellicani sul pelo dell’acqua, tutte cose che non potrebbe sperimentare vivendo in modo “normale”.

Del resto, la critica al sistema capitalistico risuona in modo lampante: quando Fern chiede aiuto economico alla sorella per riparare il suo van, emerge tutta la sua ferrea opposizione a un folle meccanismo che ti costringe a indebitarti per tutta la vita al fine di poter comprare una casa, che spesso non potrai nemmeno goderti perché sarai obbligato a lavorare fino alla morte.

NOMADLAND: UNO DEI FILM MIGLIORI DELL’ANNO

Grazie a tutti questi elementi, “Nomadland” è senza dubbio uno dei migliori film dell’anno.

Già vincitore del Leone d’Oro all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, ha ricevuto 4 nomination ai Golden Globes 2021 ed è dato da molti in pole position per gli Oscar.

E meritatamente, oserei dire: una storia coinvolgente e toccante, una regia profonda e mai invasiva, che come un affresco lascia spazio alle immagini e mostra i suoi veri personaggi sotto una luce vivida evitando banalità e sovrastrutture pleonastiche, arricchita da una performance stellare di Frances McDormand e scandita dalle musiche struggenti di Ludovico Einaudi; tutti ingredienti che dosati in modo giusto emozionano e fanno riflettere su un fenomeno attuale.

Una pellicola sia sublime che necessaria, figlia del grande cinema indipendente americano che da una parte riconcilia lo spettatore con la sua parte più emotiva e lirica, mentre dall’altra lo colpisce con la sua analisi lucida e inflessibile lasciando aperto il dibattito.

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