Recensione Da 5 Bloods – Come Fratelli

Recensione Da 5 Bloods – Come Fratelli

USA, 2020
REGIA: SPIKE LEE
DURATA: 154 min.
GENERE: Film sulla Guerra
CAST: DELROY LINDO, JONATHAN MAJORS, CLARKE PETERS, NORM LEWIS, ISIAH WHITLOCK JR., CHADWICK BOSEMAN, MELANIE THIERRY, JEAN RENO.

SPIKE LEE RACCONTA IL VIETNAM

“Da 5 Bloods” è il titolo del nuovo film di Spike Lee, a due anni dall’acclamato “BlacKkKlansman” grazie al quale il regista newyorchese vinse un Oscar per la migliore sceneggiatura.

Originariamente doveva essere diretto da Oliver Stone, ma nel 2016 Lee vi è subentrato collaborando anche alla sceneggiatura insieme agli autori Danny Bilson, Paul De Meo e Kevin Willmott e modificando il punto di vista dei protagonisti.

La storia infatti è incentrata su quattro ex soldati afroamericani, veterani della guerra del Vietnam, che dopo più di quattro decenni decidono di tornare nello stato asiatico, teatro di uno dei conflitti più atroci e vergognosi della storia americana, per ritrovare i resti di un loro commilitone, Norman “Tornado” Holloway, ucciso in uno scontro a fuoco con i viet-cong nel 1971 durante un’operazione di recupero di un velivolo della CIA.

Paul, Otis, Eddie e Melvin si ritrovano così a Saigon e con l’aiuto di una guida locale si reimmergono nella giungla vietnamita che li aveva visti combattere insieme e condividere orrore e disperazione, ma anche la speranza per un futuro migliore: non sono solo le spoglie del loro ex commilitone e amico che il gruppo vuole trovare, ma anche una cassa piena di lingotti d’oro che avevano trovato a bordo dell’aereo distrutto.

Tutti e cinque i “fratelli” (i “Bloods” del titolo, appunto) avevano stretto un patto per sotterrare la cassa in un luogo segreto e recuperarla in seguito, a conflitto terminato, utilizzando il tesoro come risarcimento per il trattamento riservato agli afroamericani da parte del governo statunitense.

Non tutto andrà come previsto e, tra rancori sopiti, traumi rimossi e incidenti di percorso, la loro avventura si rivelerà un viaggio inaspettato che li metterà a confronto con i demoni del passato e le insidie del presente, dal quale non usciranno più uguali a prima.

LE DUE GUERRE TRA PASSATO E PRESENTE

La narrazione si avvale di numerosi flashback per ricostruire le vicende dei cinque soldati nel passato, alternati a immagini di repertorio tratte da eventi reali come gli scontri tra polizia e manifestanti nel 1968, la strage incendiaria provocata dal napalm durante il conflitto vietnamita e uno dei discorsi finali di Martin Luther King a New York poco prima della sua morte.

Non mancano i riferimenti all’attualità, uno su tutti le critiche – nemmeno troppo velate – riservate all’amministrazione Trump (il film è stato girato nel 2019) e l’attenzione posta sul movimento “Black Lives Matter”.

Sono senza dubbio numerosi i film incentrati sul Vietnam che il cinema ci ha regalato nel corso degli anni, ma Spike Lee decide di raccontarci non tanto il conflitto in sé quanto la prospettiva inedita dei soldati afroamericani, spesso rimossi dalle cronache di guerra.

Da 5 Bloods

In un’epoca di segregazione e di gravi scontri razziali, la comunità nera (che rappresentava il 32% delle forze armate statunitensi impegnate in Vietnam) veniva mandata a combattere in un Paese straniero lontano migliaia di chilometri, mentre il governo degli Stati Uniti e le istituzioni che avrebbero dovuto sostenerla continuavano invece a discriminarla, a impedirle l’accesso al voto e a soffocare nel sangue qualsiasi tentativo di rivolta.

Attraverso le crudeltà del conflitto armato e quelle che accadevano nelle città americane, Spike Lee realizza una pellicola di forte denuncia sociale che principalmente mette a confronto due grandi guerre che hanno afflitto e continuano ad affliggere l’America: il Vietnam da una parte e la lotta per i diritti civili dall’altra.

Lungi dall’essere finita tuttora oggi, quest’ultima continua a mietere vittime più o meno silenziose, mentre il cancro del pregiudizio e della discriminazione oggi è divenuto più subdolo ma non meno letale: basti pensare all’omicidio di George Floyd proprio lo scorso anno, che è solamente la punta dell’iceberg di un sistema malato.

IL CAST

Uno dei punti di forza del film è il cast corale di attori, che non si avvale di nomi altisonanti ma di interpreti solitamente impegnati in ruoli da caratteristi. Su tutti non possiamo non menzionare Delroy Lindo nei panni di Paul, il veterano con i sintomi più evidenti del disturbo post-traumatico, elettore di Trump e colui che si fa voce più prominente delle contraddizioni e iniquità presenti nella società e nella politica.

Accanto a lui, Chadwick Boseman (nell’ultimo ruolo, insieme a “Ma Rainey’s Black Bottom”, prima della sua morte) nei panni di Norman, il soldato ucciso nel conflitto, la ragione per cui i quattro amici si ritrovano e una sorta di angelo custode che riappare come guida durante la loro perlustrazione e che rappresenta la speranza e la fiducia in un mondo migliore, nonostante la sua sorte sfortunata. Norman incarna il perdono, necessario e fondamentale per costruire una società più giusta. Il fatto che Boseman sia morto a soli 43 anni lo scorso agosto non fa che accrescere la valenza simbolica del suo ruolo.

VALE LA PENA VEDERLO?

Il film è sicuramente coinvolgente nonostante la durata di circa due ore e mezza sia eccessivamente lunga; spesso il filo del discorso si perde tra i monologhi dei protagonisti a discapito del ritmo che diventa irregolare a metà, per poi regalarci un finale molto intenso.

Sono molte le tematiche che il regista e il team di scrittori mettono in campo per esaltare e rendere giustizia alla figura dei neri nella storia statunitense (tra eroi dimenticati e campioni dello sport) e se da una parte ne apprezziamo il valore di denuncia, dall’altra l’opera appare ridondante, quasi un pamphlet di retorica che spesso sovrasta i suoi personaggi, non tutti caratterizzati a sufficienza.

Per tale motivo, da film di grande impatto emotivo e di alta valenza socioculturale “Da 5 Bloods” sfocia sovente in un affresco magniloquente infarcito della strabordante personalità del suo regista, che non sempre dà modo alla pellicola e alle vicende narrate di “respirare”.

Ciononostante, non vi è dubbio che anche stavolta Lee ha realizzato una pellicola che va al di là dei suoi meriti puramente artistici, che ci scuote come uno schiaffo dal nostro torpore per farci riflettere e aprire gli occhi, semmai ce ne fosse ancora bisogno, sui paradossi insiti nella nostra società.

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