Recensione Fino all’ultimo indizio film con Denzel Washington

Recensione Fino all’ultimo indizio film con Denzel Washington

USA, 2021
REGIA: JOHN LEE HANCOCK
DURATA: 128 min.
CAST: DENZEL WASHINGTON, RAMI MALEK, JARED LETO, CHRIS BAUER, JUDITH SCOTT, NATALIE MORALES.

LA TRAMA

Los Angeles, 1990. Il vicesceriffo della contea di Kern Joe Deacon, detto “Deake” (Denzel Washington), viene chiamato nel distretto della polizia di Los Angeles per raccogliere prove forensi relative a un recente omicidio. Scopriamo che Deacon era un detective appartenente a quel distretto prima che fosse costretto alle dimissioni in seguito a problemi di condotta e di salute dovuti a un caso di omicidio che non era riuscito a risolvere.

Imbattutosi nel giovane e rampante detective Baxter (interpretato da Rami Malek) impegnato in una serie di omicidi con un modus operandi molto simile a quelli su cui lui stesso indagava, Deacon decide di aiutarlo a risolvere i misteriosi delitti che hanno per vittime giovani donne, perlopiù prostitute, che vengono pugnalate e lasciate legate.

La sequela di morti inizia a divenire un’ossessione anche per il giovane Baxter, pressato dai superiori e dalla stampa per trovare un colpevole. Le indagini si concentrano su un certo Albert Sparma (Jared Leto), operaio di una ditta di riparazioni, che i due detective iniziano a seguire per scoprire se sia effettivamente il killer; ma niente è come sembra e le cose si complicano inaspettatamente.

UN THRILLER VECCHIO STAMPO

Rimasta chiusa in un cassetto per circa 30 anni, la sceneggiatura di “Fino all’ultimo indizio” firmata da John Lee Hancock ha visto avvicendarsi molti registi nel corso degli anni, persino Steven Spielberg (che ha poi abbandonato il progetto giudicandolo troppo “oscuro” per i suoi gusti), fino a che Hancock ha deciso di dirigere lui stesso il proprio script.

Va detto che lo stile thriller poliziesco dei primi anni Novanta si sente eccome, dato che nel frattempo abbiamo assistito a trame molto simili (e in alcuni casi con risultati decisamente migliori come ad esempio “Seven”, “Il collezionista di ossa” e “Zodiac”) dove i due detective, solitamente uno più esperto e un altro alle prime armi, si perdono all’interno di un caso molto complicato di serial killer.

Fino all'ultimo indizio

L’ossessione per la risoluzione di uno o più omicidi ha segnato profondamente la carriera e la vita di Deacon, un Denzel Washington sempre in parte e più sgualcito del solito, tormentato dai suoi demoni interiori e che cerca disperatamente di aiutare il giovane collega Baxter a trovare il colpevole degli atroci delitti, non tanto per l’onorevole motivazione della giustizia ma piuttosto per dare pace ai suoi sensi di colpa.

Baxter, d’altro canto, è il classico detective ambizioso e arrogante che vuole arrivare presto alla risoluzione del caso, ma che si troverà in un vicolo cieco. Il suo personaggio è quello più debole a livello di scrittura, e l’interpretazione monocorde di Malek non aiuta, forse perché l’attore premio Oscar per “Bohemian Rhapsody” è abituato a ruoli più borderline e complessi (vedi Freddie Mercury o il protagonista Elliot della serie “Mr. Robot”), mentre qui si ritrova un carattere bidimensionale e alquanto stereotipato.

Chi attira maggiormente l’attenzione del pubblico è l’enigmatico Sparma, interpretato da un Jared Leto nuovamente trasformista che qui appare appesantito, segnato da profonde occhiaie e da lunghi capelli unti, il quale infonde un giusto quantitativo di inquietudine e senso di disagio al principale sospettato dei delitti.

PROBLEMI DI SCRITTURA E RITMO

Le pecche più grandi del film, oltre a quella già citata di impianto convenzionale della trama, sono i dialoghi banali, una serie continua di frasi fatte che forse andavano bene nel 1993 (anno in cui la sceneggiatura è stata scritta) e di luoghi comuni usati per dipingere i protagonisti, intrappolati dentro ai loro stereotipi e verso i quali ben presto gli spettatori iniziano a disaffezionarsi. Viene quasi da fare il tifo per il personaggio di Leto, per quanto disturbato e viscido sia.

Tutto ciò non aiuta ovviamente il ritmo della pellicola, che invece di essere incalzante e piena di colpi di scena, elementi essenziali in un thriller che si definisca tale, verso metà inizia ad apparire stanca e involuta in se stessa, procedendo in maniera noiosa verso un finale che in qualche modo, sebbene tardivamente, riaccende l’attenzione del pubblico.

Poster fino all'ultimo indizio

VALE LA PENA VEDERLO?

Il regista Hancock, che in passato ci aveva regalato film riusciti e godibili ispirati a storie vere come “The Founder” e “Saving Mr Banks”, non è all’altezza di un’opera dark e insidiosa che in mani più sapienti come quelle di David Fincher, ad esempio, sarebbe potuta risultare interessante e avvincente. Similmente, da un trio di attori blasonati come Washington, Malek e Leto ci saremmo aspettati un film più incisivo e attuale.

Ciononostante, lo zoccolo duro di fan del genere poliziesco “vecchia maniera” potranno trovare elementi che in un paio d’ore creeranno un intrattenimento senza troppe pretese.

DOVE VEDERE FINO ALL’ULTIMO INDIZIO

“Fino all’ultimo indizio” è disponibile dal 5 marzo per il noleggio su diverse piattaforme, tra cui Prime Video, Apple TV, Youtube, Google Play, TIMVISION, Rakuten TV e PlayStation Store.

CURIOSITÀ

  • La birra che il personaggio di Jared Leto ha nel frigo è la “Busch”, la stessa marca che l’attore offre nel film “Fight Club” del 1999 diretto da David Fincher, regista di “Seven” che a sua volta ha molti punti in comune con questo film. 
  • L’ambientazione del film nel 1990 è confermata dal fatto che in una scena si può vedere una locandina di “Quei bravi ragazzi”, pellicola di Scorsese che uscì nel settembre di quell’anno negli Stati Uniti.
  • La scena in cui Deacon cena da solo al ristorante Bun N Burger è un riferimento visivo al celebre dipinto “Nighthawks” del pittore americano Edward Hopper.

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