Recensione Il Grande Gatsby con Leonardo DiCaprio

Recensione Il Grande Gatsby con Leonardo DiCaprio

L’abbagliante fine dei sogni e delle illusioni di un’epoca: “Il Grande Gatsby”.

Il grande Gatsby (The Great Gatsby) è un film del 2013 diretto da Baz Luhrman.

Trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo scritto da Francis Scott Fitzgerald, la pellicola ha per interpreti principali Leonardo DiCaprio (Jay Gatsby), Tobey Maguire (Nick Carraway), Carey Mulligan (Daisy Buchanan), Joel Edgerton (Tom Buchanan), Elizabeth Debicki (Jordan Baker), Isla Fisher (Myrtle Wilson), Jason Clarke (George Wilson), Amitabh Bachchan (Meyer Wolfshein), Jack Thompson (dott. Walter Perkins / Henry C. Gatz), Max Cullen (Owl Eyes), Callan McAuliffe (Jay Gatsby giovane), Adelaide Clemens (Catherine) e Richard Carter (Herzog). 

Con un incasso complessivo di circa 351 milioni di dollari il film è risultato il 22° maggiore incasso mondiale del 2013 nonché il maggiori incasso mai realizzato dal regista Baz Luhrman.

Al successo al botteghino si affiancano critiche piuttosto contrastanti e medie: un gradimento di circa il 49% (su 256 recensioni) per un voto di 5.6 / 10 sul sito Rotten Tomatoes ed un punteggio di 55 / 100 (su 54 recensioni) sul sito Metacritic

Fra i riconoscimenti si segnalano i premi miglior scenografia  e migliori costumi rispettivamente per gli Oscar 2013 e British Academy Film Award 2014

TRAMA

USA, inverno 1929.  Nick Carraway, un veterano della Prima Guerra Mondiale laureatosi all’Università di Yale, si trova in un ospedale psichiatrico per curare la sua dipendenza da alcol. Durante una seduta con il suo medico, lo psichiatra Walter Perkins, Nick inizia a parlare di quello che definisce l’uomo più promettente che avesse mai incontrato, Jay Gatsby. Il medico, notando la difficoltà di Nick nell’esprimere a parole i suoi pensieri, gli suggerisce di scrivere ciò che sta pensando, dal momento che la scrittura è la sua vera passione. Nel riportare a galla i ricordi di intensi attimi vissuti nell’estate del 1922 in compagnia di Gatsby, Nick restituisce un caleidoscopico ritratto delle illusioni e dei sogni infranti della gioventù americana precedente al Crollo del ‘29. 

il Grande Gatsby

ANALISI

Il contesto è quello di un’epoca in cui ogni sfrenato e lussureggiante piacere viene descritto con caleidoscopiche immagini mostrando l’impatto visivo come punto di forza del film. La voce narrante è quella di un giovane deluso e amareggiato che per non impazzire riporta in vita i ricordi di un passato segnato dall’ambizione iniziale e concluso con un trauma personale. Le illusioni di benessere e di controllo fornite dall’ossessione per il danaro sono lo specchio di una società che maschera dietro le menzogne di un’apparenza fragile da preservare il vuoto di un’umanità corrotta dalla ricchezza, sia conquistata sia indegnamente ottenuta. In questa abbagliante, in tutti i sensi, cornice sociale si muove il protagonista-narratore che viene travolto dalle luci dei Ruggenti Anni ’20 americani. E alla fine quello che sembrava un arricchito imbroglione si dimostra l’unico animo puro che ha dato tutto quello che poteva per inseguire il sogno infranto di un amore ormai perduto. La tragica ed ingiusta fine di quest’ultimo è, come nel libro, una schietta denuncia alle ingannevoli sicurezze offerte dal dio-denaro che spietato consuma e distrugge chi ancora crede nella purezza dei sogni. 

SOGNI E ILLUSIONI RUGGENTI

Con la locuzione Roaring Twenties (lett. “I ruggenti anni venti”) si indica il decennio degli anni ’20 del XX secolo. Un’epoca questa che, descritta da cinema, letteratura e musica, favorita da un fenomeno di grande espansione industriale, poi rifluito nei disastri della Grande Depressione del 1929 e del proibizionismo, ha creato mode e determinato tendenze, praticamente in ogni aspetto del costume e dell’arte del tempo.

Sul piano del costume e della cultura, lo spirito degli Anni Ruggenti fu segnato da una generalizzata percezione e discontinuità associata ad un bisogno di modernità conseguente ad una necessaria rottura con la tradizione. Tutto pareva poter essere assoggettato alle moderne tecnologie: in particolare l’automobile, il cinema e la radio assurgono ad espressione principale di questa modernità così ricercata. Queste nuove tendenza influenzarono ogni più piccola parte dell’uso quotidiano e grazie all’invenzione e diffusione del grammofono e del fonografo furono molte le persone che si avvicinarono più di quanto non fosse avvenuto in passato alla musica (in particolare in USA si diffuse l’era del jazz) e alle danze come riflesso condizionato a rimuovere il ricordo degli orrori della Grande Guerra.

Il 1927 segna per il cinema l’avvento del sonoro quando uscì Il cantante di Jazz (The Jazz Singer), il primo film parlato della storia del cinema. Nel 1928 il produttore Walter Elias Disney presenta il suo primo cortometraggio, Steamboat Willie, con il personaggio di Mickey Mouse, da noi noto come Topolino.

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IL RITRATTO DI UN’EPOCA

Così T.S. Eliot, poeta, saggista e critico letterario americano descrisse il romanzo scritto da Francis Scott Fitzgerald (1896-1940) e pubblicato a New York il 10 aprile 1925:

“Il primo passo in avanti fatto dalla narrativa americana dopo Henry James.”

Ambientato a New York e a Long Island durante l’estate del 1922, il testo rappresenta il più acuto ritratto dell’anima dell’età del jazz, con le sue contraddizioni, il suo vittimismo e la sua tragicità. La storia, che viene narrata per bocca di uno dei personaggi del libro, Nick Carraway, narra la tragedia del mito americano che aveva retto il paese dai tempi dello sbarco a Playmouth Rock e può essere considerata l’autobiografia spirituale di Fitzgerald che, ad un certo punto della sua vita, chiuso con l’alcolismo e con la vita da playboy, voleva capire quali fossero stati gli ostacoli che avevano fatto inabissare la sua esistenza.

Erano gente indifferente, Tom e Daisy – sfracellavano cose e persone e poi si ritiravano nel loro denaro o nella loro ampia indifferenza o in ciò che comunque li teneva uniti, e lasciavano che altri mettessero a posto il pasticcio che avevano fatto.

Il tramonto delle illusioni di un sogno infranto, ma soprattutto la solitudine, la incomunicabilità e l’indifferenza, sono temi perfettamente resi nei personaggi: nessuno comunica in quegli “entusiastici incontri tra gente che non si conosceva neanche di nome” che altro non sono le lussuose feste di Gatsby.

Il personaggio che risulta il più solo fra tutti è proprio quello che dà il titolo al libro. Gatsby organizza feste nella sua lussuosa villa ma non vi partecipa, tutto ciò che avviene in casa sua avviene per il solo scopo di poter far venire da lui Daisy. Gatsby è il prototipo dell’uomo solo, da quando lo si vede per la prima volta nell’ora del crepuscolo fermo sul prato della sua lussuosa villa mentre guarda con gli occhi fissi la luce verde che si riflette sul pontile della casa di Daisy dall’altra parte della sponda di Long Island.

Gatsby si può considerare come un “eroe romantico” nella sua accezione più lata e più profonda. Egli è infatti un personaggio destinato alla sconfitta, appare inadeguato al gretto mondo che lo circonda. È però proprio qui che risiede la sua grandezza: Gatsby vive solo per un sogno ed è perfino disposto a morire per esso, un sogno chiamato Daisy. Un amore dal sapore universale ed esistenziale. La reggia, le macchine, il denaro, nulla ha importanza; paradossalmente la statura morale e spirituale del personaggio è immensa, e finisce così per nascondere il suo passato oscuro e criminoso. Gatsby incarna la più istintiva purezza della natura umana, è proprio il suo desiderio così genuino che non gli darà scampo portandolo a una storia di autodistruzione. La fine di Gatsby è infatti emotivo-passionale, la morte fisica ne è solo un semplice corollario.

La prima traduzione italiana è di C. Giardini del 1936, pubblicata per Mondadori con il titolo Gatsby il magnifico. La seconda traduzione, quella che poi è diventata la più celebre e fedele, è del 1950 ad opera di Fernanda Pivano, pubblicata ancora da Mondadori con il titolo originale Il Grande Gatsby.

Romanzo il Grande Gatsby

LE TRASPOSIZIONI

Il romanzo ha avuto, con questo di Luhrman, 4 adattamenti in celluloide, di cui gli altri 3 sono una versione muta nel 1926 (perduta), una prima versione sonora nel 1949 e la versione più famosa, la terza del 1974 che vede Robert Redford e Mia Farrow nelle parti di Gatsby e Daisy.

Per capire la differenza fra le ultime due trasposizioni del classico cartaceo basterebbe citare il giudizio dato da Marzia Gandolfi sul sito mymovies.it :

Tra la versione del 1974, sceneggiata da Coppola ma cinematograficamente poco consistente, e la rilettura odierna firmata da Baz Luhrmann, che invece carica l’impianto visivo fino quasi a soffocare la voce amara e toccante del romanzo di F.S. Fitzgerald, è lecito sognare una giusta temperatura di trasposizione, che resta ancora ideale, e rinnova la sfida ai cineasti a venire, com’è nella natura dei grandi classici di fare.

IMPATTO VISIVO E DRAMMA EMOTIVO

Se a Luhrmann si rimprovera di porre l’attenzione sulla scenografia fatta di luci abbaglianti, abiti sgargianti e azione rapida che sembra schiacciare i dialoghi, allora non si può che dare ragione alla critica snobbante.

Tuttavia un occhio acuto può vedere nell’impatto visivo ricercato fino all’estremo un efficace strumento per evidenziare un elemento denunciato nel romanzo: l’apparenza di benessere scaturita dall’illusione del controllo ostentata dai soldi che, nove volte su dieci, non sono del tutto meritati da chi li ha guadagnati. Le interpretazioni di DiCaprio e McGuire sono da lodare nel riprodurre impeccabilmente i caratteri dei personaggi omaggiati. E la citazione nel finale, riprodotta fedelmente, rende questo quarto esperimento di trasposizione degno di essere ricordato nell’attesa di qualcosa di possibilmente meno appariscente.    

TRAILER UFFICIALE

IMPRESSIONANTE ED EMOZIONANTE.

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