Due anni dopo il primo capitolo, apprezzato unanimemente da pubblico e critica e diventato il film horror con gli incassi più alti della storia, le aspettative erano molto alte per la seconda parte di “IT”, diretto nuova-mente dall’argentino Andrés Muschietti e tratto dal celeberrimo romanzo di Stephen King.
Sono passati esattamente 27 anni dall’estate del 1989 durante la quale i poco più che adolescenti Bill, Richie, Eddie, Ben, Mike, Stanley e Beverly, il cosiddetto Club dei Perdenti di Derry, credevano di aver sconfitto il malvagio clown Pennywise; quand’ecco che un altro ciclo del terrore ha inizio e l’entità It ricomincia a mietere le sue vittime, in maniera tanto eclatante che costringe i sette amici a ritornare nella cittadina del Maine per onorare il patto di sangue che li lega.
Con la scena di apertura al luna park e i due ragazzi gay aggrediti dal branco (i cinefili più attenti riconosce-ranno nei panni di uno dei due malcapitati Xavier Dolan, regista attore e sceneggiatore canadese) veniamo subito catapultati nella ferocia che si respirerà per buona parte del film. Una delle grandi abilità del regista è quella di aver fatto i compiti a casa, avendo captato e incamerato completamente le atmosfere e il senso di angoscia che permeano le oltre 1200 pagine del libro di King, restituendole quanto più fedelmente possibile sul grande schermo.
Perché la peculiarità della pellicola – e del romanzo ancora prima – non è tanto la paura inconscia per una presenza non ben identificata, quanto come essa condizioni le nostre vite e il modo in cui l’odio e la violenza alimentano e rendono fecondo l’essere denominato “It”. Non è un caso che egli si nutra dei lati oscuri delle persone per poi usarli a proprio piacimento contro le sue vittime.
Il club dei Perdenti di Derry
E non è un caso che i protagonisti, oggi adulti, siano ancora alle prese con le loro idiosincrasie, le inadeguatezze e le stesse insicurezze di quando avevano 13 anni: Bill, colui che aveva perso il fratellino Georgie nelle fogne, è oggi uno scrittore di successo ma ai suoi romanzi manca sempre un degno finale; Eddie, l’ipocondriaco, ha sposato una donna che è praticamente la copia della madre ansiosa che lo imbottiva di farmaci placebo; così come Beverly, l’unica ragazza del gruppo, ha per marito un uomo violento e manipolatore come lo era suo padre; Ben, liberatosi dall’adipe di troppo e oggi architetto di successo, rimane ancorato a quell’amore non corrisposto di 27 anni prima mentre Richie “la linguaccia” ha reso mestiere la sua abilità di fare battute, con le quali riesce a mascherare meglio le sue fragilità; Mike, dal canto suo, l’unico che è rimasto a Derry e che richiamerà gli altri sei per sconfiggere definitivamente It, vive nella costante ossessione di scoprire le origini del male impersonificato dal clown. Stanley, infine, da tutti considerato il più debole del gruppo, sarà il perno grazie al quale i suoi amici riusciranno a trovare uno spiraglio per uscire dalla propria comfort zone e fronteggiare apertamente le loro più atroci paure.
Il cast scelto per interpretare il club dei Perdenti adulti non poteva essere più azzeccato, in primis James McAvoy nei panni di Bill e Jessica Chastain in quelli di Beverly. A rubare la scena tuttavia è Bill Hader (ex comico del Saturday Night Live e vincitore di un Emmy per la serie tv “Barry” in onda sulla HBO) che, nelle vesti di Richie, dà spessore e umanità a un personaggio che poteva risultare una macchietta.
Un Secondo Capitolo all’altezza del primo?
La lunghezza di questo secondo capitolo, ben 166 minuti, è necessaria per dare il giusto approfondimento a ognuno dei personaggi, malgrado alcuni importanti ne rimangano fuori o ne risultino sbiaditi (come nel caso di Henry Bowers, qui ridotto principalmente a uno schizofrenico col coltello senza molte battute, quando nel libro il suo processo di discesa negli inferi della follia è molto ben caratterizzato).
Va detto che il confronto con il primo capitolo, sul piano del ritmo e dei cosiddetti “jump scares”, va a discapito del sequel, in quanto alla lunga le scene che dovrebbero risultare spaventose tendono a divenire monotone e nella parte centrale la regia appare più incerta, per riagguantarsi fortunatamente nel finale di grande impatto emotivo. Anche Pennywise, interpretato dal bravissimo Bill Skarsgård che non teme confronti con l’iconico Tim Curry della miniserie televisiva del 1990, appare meno minaccioso man mano che la pellicola progredisce, a eccezione di alcune scene tra cui quella nel labirinto degli specchi, una delle più riuscite.
Probabilmente un taglio di circa 20 minuti non avrebbe guastato, così come un impiego minore della CGI in alcuni passaggi; ciononostante il film funziona e intrattiene, tira fuori un paio di gustose citazioni (su tutte “La Cosa” di Carpenter e “Shining”, l’altra grande opera di King), beneficia di un’ottima fotografia e di una prova del cast più che efficace, rimanendo fedele al materiale di origine (con una più che esplicita benedizione del suo creatore che appare in un cameo nel negozio di antiquariato), seppur il finale si discosti molto dal romanzo: nelle ultime pagine la cittadina di Derry, dopo l’annientamento di It, viene distrutta da una violenta tempesta, mentre i sopravvissuti del gruppo dei Perdenti iniziano a dimenticare tutto ciò che è successo non appena si allontanano dal luogo degli eventi. Al cinema, come quasi sempre accade, la chiusura è più catartica e conciliante.