Recensione Veloce come il Vento con Stefano Accorsi

Recensione Veloce come il Vento con Stefano Accorsi

Riscatto personale e un legame ricucito in “Veloce come il vento”

Se cerchi di mantenere il controllo non stai andando veloce.” (Mario Andretti)

Veloce come il vento (Italian Race) è un film del 2016 diretto da Matteo Rovere che ha per interpreti principali Stefano Accorsi (Loris De Martino), Matilda De Angelis (Giulia De Martino), Paolo Graziosi (Tonino), Lorenzo Gioielli (Ettore Minotti), Roberta Mattei (Annarella) e Tatiana Luter (Eva).

Fra i riconoscimenti si segnalano 3 Nastri D’Argento 2016 (“miglior attore protagonista” a Stefano Accorsi, “miglior montaggio” a Gianni Vezzosi, “Guglielmo Biraghi” a Matilda De Angelis) e ben 6 David Di Donatello 2017 (fra cui “miglior attore protagonista” a Stefano Accorsi).

La pellicola è dedicata e liberamente ispirata alla vita del pilota di rally Carlo Capone.

Stefano Accorsi in Veloce come il vento

TRAMA

Giulia de Martino è una pilota di rally che a soli diciassette anni partecipa al prestigioso Campionato italiano GT. Durante una della prime gare di campionato il padre e manager ha un infarto e muore. Al funerale si presenta Loris, fratello maggiore di Giulia, ex-pilota soprannominato “il ballerino” per la guida spericolata, che non rivedeva da dieci anni e che ora è un tossicodipendente. Prima di morire il padre aveva ipotecato la casa per sponsorizzarsi e l’unica possibilità di saldare il debito per Giulia è vincere il campionato. Inizialmente respinto, Loris pretende di tornare a vivere nella sua vecchia casa insieme alla compagna Annarella. Solo perché già abbandonati dalla madre e per evitare problemi con gli assistenti sociali, Giulia ed il fratellino Nico, ancora minorenni, accettano di accogliere il ritrovato fratello. Convinto, non senza titubanze, dalla sorella ad allenarla in pista Loris avrà occasione di ricucire il legame familiare ed ottenere un riscatto fino all’estremo sacrificio per aiutare Giulia a Nico.

ANALISI DEL FILM

Il tentativo di ricucire un rapporto fra fratelli separati è il motivo conduttore descritto attraverso un’azione rapida come lo sport che fa da contesto. Da un lato c’è una giovane talentuosa in erba che si ritrova a dover affrontare gravi difficoltà per mantenere il fratellino in seguito alla prematura scomparsa del padre. All’improvviso irrompe il fratello ripudiato a causa del suo carattere ribelle e autodistruttivo aggravato dalla tossicodipendenza. Dopo un inizio che pare segnato dalla sconfitta pian piano riemergono nel corridore caduto le doti che permettono alla giovane pilota di arrivare ad un passo dalla vittoria che risolverebbe i suoi problemi. Ma il dramma ritorna con crudele spietatezza a causa dell’indole senza freni del fratello ritrovato. E quando ormai tutto sembra preannunciare un finale tragico ecco che il pilota “ballerino” mostra un briciolo di amore fraterno rischiando la sua stessa vita in una spericolata gara che potrebbe restituire serenità ad una famiglia che ancora può essere salvata.

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VELOCITÀ INDOMABILE

Il pilota Carlo Capone (Gassino torinese, 12 aprile 1957) cui è ispirato il film fu attivo negli anni ’80. Campione europeo di rally nel 1984 divenne famoso nel circuito per le incredibili capacità velocistiche accompagnate da un temperamento non semplice.

Nel 1978, durante la seconda edizione del Trofeo A112 del rally 100.000 Trabucchi di Saluzzo accade un episodio che, parole sue in un’intervista, segnò profondamente la sua carriera dal punto di vista psicologico. Dopo aver dominato la difficile competizione gli viene dato ordine di cedere il primo posto al compagno di squadra Fabrizio Tabaton, in virtù di accordi interni alla scuderia (La Grifone). Il campione, già di base poco incline a compromessi, accetta malvolentieri ma ottiene così un ingaggio per la stagione successiva.  L’ascesa al Campionato Europeo avviene a bordo di una Lancia 037 West, con accanto il navigatore Sergio Cresto.

 Veloce come il vento

Allo stesso tempo è con questa scuderia che avviene il secondo episodio che segna per sempre la carriera di Capone. Per stimolare il suo pilota di punta Markku Alén, il direttore sportivo della Lancia Cesare Fiorio ingaggia Henri Toivonen, giovane finlandese velocissimo e da tutti considerato uno “sfasciamacchine”. Già sotto contratto con la Prodrive che schiera la Porsche 911 nell’Europeo, Toivonen si trova a correre per la Lancia in alcune gare del Mondiale e contro la stessa Lancia nell’Europeo, quindi contro lo stesso Capone. Il campione torinese che punta al Mondiale si vede ostacolato e non nasconde il suo disappunto lanciando dichiarazioni polemiche contro la casa automobilistica, rea di abbandonare il pilota italiano al destino di gregario. Il rapporto fra il pilota ed i dirigenti è sempre più compromesso dal temperamento aggressivo e contrario agli ordini di scuderia del primo. Ciò nonostante nel 1984 Carlo Capone riesce a vincere il Campionato europeo, battendo fra gli altri lo stesso Toivonen. È proprio il finlandese in un’intervista a riconoscere pubblicamente il valore del pilota italiano:

Lo scorso anno (1984) ero molto forte, ma ho vinto solo il rally di Finlandia. Perché l’Europeo assoluto lo ha vinto un pilota imprendibile, velocissimo, con una guida estremamente fine, che ha corso su un’auto non ufficiale. Si chiama Carlo Capone.”

La vittoria ha un sapore amaro per l’indomabile pilota e profetiche sono le sue stesse parole rilasciate a ridosso della consegna del titolo.

Io con la vittoria nell’Europeo ho chiuso un libro e, pure ora, non ne ho aperto un altro.  […] Direi che si è trattato di una gran bella sfida fra me e Toivonen. Che sia stato io a prevalere è importante ma fino ad un certo punto. Non fraintendetemi. È solo che per me era più importante il fatto di battermi contro un grande. Le curve sono tante, il difficile spesso è vederle.

Stanca delle continue polemiche rilasciate in diverse dichiarazioni la Lancia non gli rinnova il contratto ed il pilota, ormai etichettato come “difficile”, non riesce più a trovare una scuderia disposta a farlo correre e scompare bruscamente dal circuito e dalle cronache sportive. La conquista di un quarto posto assoluto al Rally Città di Torino 1987 a bordo di una Peugeot 205 1.9 GTI gruppo N del team Spes Autosport con Fabrizio Pasquini come navigatore è l’ultima prova delle sue straordinarie capacità velocistiche con una vettura pressoché di serie.

Alla carriera stroncata si aggiungono drammi personali (morte prematura della figlia di pochi mesi e separazione dalla moglie) che minano il suo benessere psico-fisico sprofondandolo sempre più nella depressione. Notizie non accreditate affermano che tutt’ora dovrebbe vivere in Piemonte presso una struttura che offre assistenza alle persone con patologie psichiatriche.

FINZIONE CHE RISCATTA

Più che convincente è l’interpretazione di Stefano Accorsi nel riflettere il carattere difficile del pilota cui il film è dedicato. Le innate capacità di campione sono in contrasto con un’indole indomabile cui sembra inevitabile un destino autodistruttivo, come inarrestabile è il senso di vita provato da chi sceglie l’ebbrezza delle quattro ruote che corrono in pista incurante dei pericoli in agguato e delle regole fisse.

Ma se la realtà è tragica la finzione offre nel commovente finale una lezione importante: sotto le sembianze più inaffidabili possono celarsi un grande talento che ha bisogno di essere riconosciuto piuttosto che frenato ed un’umanità che ha bisogno di essere accettata al di là di ciò che si vede.

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