Recensione Minari: il film candidato a 6 premi Oscar

Recensione Minari: il film candidato a 6 premi Oscar

Del suo film autobiografico Minari, lo scrittore e regista Lee Isaac Chung ha detto di aver iniziato abbozzando una serie di piccoli ricordi della sua infanzia.

Attingendo alla sua eredità sudcoreana e all’esperienza di crescita nelle zone rurali dell’Arkansas, il suo quinto lungometraggio è un racconto commovente e molto personale del regista. Il film che ha realizzato è una testimonianza di quell’esperienza, sia amara sia dolce ed è già candidato a 6 premi Oscar 2021. Leggi tutti i Candidati Premi Oscar 2021.

Trama Minari

Il film inizia con una famiglia di quattro persone su un camper: due figli con i genitori, che fino a quel momento si sono dedicati a un lavoro costante ma massacrante in una fabbrica della California. Nel tentativo di costruire qualcosa di più per loro stessi, decidono di trasferirsi nel Midwest, dove Jacob (Steven Yeun) sogna di avviare una fattoria su 50 acri di buona terra americana nelle zone rurali dell’Arkansas, con la riluttante moglie Monica (Yeri Han) al suo fianco.
Tuttavia, per molti versi sono i loro due figli ad essere al centro della storia, la sorella maggiore Anne (Noel Cho) e soprattutto il giovane David (Alan Kim, una rivelazione), che è l’alter ego del regista. Il piccolo ha un soffio al cuore e saranno a un’ora dall’ospedale più vicino; ma come farà Anne a fare amicizia in un posto così isolato? Litigi dei genitori, interruzioni di corrente e un avvertimento di tornado smorzano ulteriormente gli spiriti. È un inizio infausto. Ciononostante, lentamente ma inesorabilmente, il più piccolo dei germogli inizia a essere visibile. Il sessaggio dei polli – maschi in una cassa, femmine nell’altra – non è un lavoro affascinante, ma li porterà avanti fino al primo raccolto e permetterà a Monica di incontrare altri nella comunità.

Il sogno americano e le radici coreane           

Minari, come spiega la nonna dei bimbi ad un certo punto del film, è la pianta della famiglia del sedano-prezzemolo comune nell’Asia orientale. Sta a significare l’attaccamento alle proprie radici anche quando queste sono lontane. Per questo il film è tenero, ma anche duro. Non è una storia che ci spinge all’investimento sentimentale gratuito, ma ci presenta invece le piccole incidenze, trionfali e banali, della vita quotidiana. Yeun, ora candidato all’Oscar per la sua interpretazione, ha una speranza fanciullesca, resa ancora più commovente dal modo in cui a volte è accartocciata e resa stanca dal lavoro e dalle preoccupazioni notturne; nel ruolo è straordinario.
L’obiettivo è la possibilità di plasmare il proprio futuro partendo, letteralmente, dalle fondamenta – una piccola fattoria che coltiva ortaggi coreani per la popolazione immigrata. Questo racconto di una famiglia che lotta per la propria visione del tanto leggendario Sogno, è americana quanto la tanto favolosa torta di mele, infusa con il suo sapore personale. Con amore, grazia e onestà, c’è una vera determinazione in Minari e, in generale, una rinfrescante assenza di “alterità” o divisione. “Che bella famiglia”, dice il pastore mentre gli Yi vengono accolti il primo giorno in chiesa.
Questo non vuol dire che non abbiano dimenticato da dove vengono, sia in senso letterale sia figurato. Sono gli anni ’80 e i ricordi della guerra di Corea e il passato della loro famiglia persistono, ma questi non sono un ostacolo al progresso per il futuro. Mentre Paul (un Will Patton trasformato), timorato di Dio, simile a un profeta, consegna un trattore a Jacob, finisce per restare e aiutare a coltivare la terra della tenuta. In tutta Minari, le aspettative di determinati risultati, anche i pregiudizi, vengono sovvertite.

Dove potrebbe sorgere un conflitto, c’è una connessione; momenti di potenziale gioia, portano tristezza e viceversa; dove forse ci si aspetta un commento ignorante, persino razzista, una mano è tesa in amicizia e rinfrancamento.

Minari Film Oscar

Lo stile come funzione del racconto                                                                   

Lo stile visivo di Chung è gentile e discreto, con un occhio per inquadrare le scene più viscerali a una distanza rispettosa, catturando le piccole cose: madre e figlia sedute insieme sul pavimento in un momento difficile, o gli sguardi smarriti dei bambini bianchi in chiesa, che guardano alla famiglia Yi con pura curiosità.
Chung esprime sottilmente la dislocazione e la differenza che la famiglia sente, ma anche la selvaggia bellezza naturale delle estati del Midwest e gli atteggiamenti amichevoli anche dei loro vicini bianchi. È un miscuglio di esperienze, con troppa saggezza per virare drasticamente in entrambe le direzioni.
Questo non vuol dire che Minari sia una solenne esperienza visiva; è tenero e spesso divertente, in particolare quando la nonna dei bambini (una Youn Yuh-jung che ruba la scena, una leggenda del cinema sudcoreano non a caso candidata all’Oscar) arriva dal suo paese natale per aiutarli a prendersi cura di loro, facendo colpo nella vita del giovane David e diventando immediatamente ossessionata di wrestling americano e Mountain Dew.
La differenza culturale fornisce gran parte della confusione tra il bambino e la sua nonna testarda. Il regista gestisce il suo materiale con vero equilibrio e le performance che ottiene dal suo cast sono straordinarie. Affrontando le pressioni di ricominciare una nuova vita, preoccupandosi della salute dei loro figli, lottando per sbarcare il lunario, Jacob e Monica trovano poco tempo l’uno per l’altra. In ogni movimento, gesto e considerazione, Yeun e Han comunicano il peso sul corpo e sull’anima della loro impresa.

Il senso di unione di Minari                                                                                            

Nella figura della nonna troviamo il senso del film; Yuh-jung Youn ruba la scena – e ogni scena in cui si trova – nei panni di Soonja, l’anziana matriarca fuori dal comune. Non è la nonna che David si aspettava di incontrare, ma c’è molto che può imparare da lei. L’acqua può essere un elemento vitale a Minari, ma il sangue scorre più denso.  L’astuto senso di appartenenza e non appartenenza a Minari, la povertà e le lotte domestiche della vita familiare, gli conferiscono una qualità che solo i film più grandi hanno: un senso sia dello specifico che dell’allegorico, i dettagli unici dell’esperienza umana e anche la sua vastità.
L’amore e la tenacia che tengono insieme la famiglia Yi, anche di fronte alla disperazione, è profondamente commovente. E sebbene le radici possano essere nascoste sottoterra, sapere che sono lì e che devono essere curate, è l’unico modo per farle prosperare.

Trailer Minari

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