Recensione Non essere cattivo ‒ L’addio del maestro Caligari

Recensione Non essere cattivo ‒ L’addio del maestro Caligari

3 FILM IN 40 ANNI

Tre film bastano a decretare la grandezza di un cineasta? Pensavamo di no. Poi abbiamo visto la filmografia di Claudio Caligari, non c’è voluto molto, per l’appunto tre film in quarantanni di carriera, ce li siamo sparati tutti d’un fiato, iniettati nelle vene come la droga che trabocca dalle sue pellicole, ci sono entrati nel sangue, e alla fine non abbiamo potuto far altro che abbandonare i nostri convincimenti iniziali: sì, tre film possono bastare. Lo affermiamo senza reticenze: Claudio Caligari, nome sconosciuto ai più, è semplicemente uno dei registi più “veri” del panorama italiano. Un maestro ingiustamente rubato al cinema dalla televisione, ma che comunque ha lasciato un segno indelebile con le sue tre opere: Amore tossico (1983), L’odore della notte (1998) e Non essere cattivo (2015). 

L’IMPEGNO DI MASTRANDREA

Quello che andiamo a recensire oggi è Non essere cattivo, Il suo ultimo lungometraggio del 2015, estremo lascito del regista, morto poco dopo la fine delle riprese. E se l’opera di Caligari ha visto la luce, è stato anche grazie all’impegno di Valerio Mastrandrea, amico del regista (e attore protagonista del suo secondo film, L’odore della notte), che non solo ha fatto l’impossibile per trovare dei produttori (arrivando perfino a scrivere una lettera a Martin Scorsese), ma ha anche portato a termine le ultimissime fasi di rifinitura del film. 

non essere cattivo

NON UN SEMPLICE DRUG MOVIE

Non essere cattivo può essere considerato a tutti gli effetti una sorta di remake di Amore tossico, ambientato negli stessi luoghi ma a distanza di una decade, con uno spostamento cioè dagli anni Ottanta, epoca dell’eroina iniettata per endovena, agli anni Novanta, quando invece predominato pasticche e sniffate. Ma attenzione a considerarlo un semplice drug movie (inteso come mero ritratto di un gruppo di tossici): Non essere cattivo è un vero e proprio excursus nei lati più oscuri e deteriori dell’animo umano e della società contemporanea. Il cinema di Caligari vola alto al di là dei generi, proponendosi come un affresco corale di una generazione bruciata non per amore della trasgressione, ma perché cresciuta lì dove non batte la speranza e non ci sono vie di fuga, se non, appunto, la droga. È dove abitano gli emarginati. Gli ultimi, gli esclusi dalla società capitalistica e dal mondo del lavoro.

LA FINE DEL MONDO PASOLINIANO

Gli antieroi di Caligari sono due predestinati perdenti, eredi di quel sottoproletariato pasoliniano che ha ormai perduto il candore originario senza però neppure integrarsi nella società post-industriale. Sono rimasti in mezzo, o forse in bilico, esclusi da tutto e da tutti. Caligari riprende il filo di un discorso aperto da Pasolini nel 1961 con Accattone (il nome di Vittorio è un esplicito riferimento al protagonista pasoliniano) per portarlo al suo esito finale, meraviglioso punto di non ritorno: dopo una vita di espedienti, Vittorio (reincarnazione dell’omonimo pasoliniano) vuole mettere la testa a posto e decide di andare a lavorare, ma se fai il manovale in borgata i soldi non bastano per andare avanti, e allora l’unico modo è “essere cattivi”, come fa Cesare, che cattivo non lo è veramente (je volemo bene tutti a quel matto, dirà emblematicamente Vittorio), ma in un certo senso “deve” esserlo per forza. È la vita (di borgata) che lo piega e non dà scampo, e il destino di Cesare è segnato fin dall’inizio, come la catapecchia pericolante in cui va ad abitare e che sembra dover cadere a pezzi da un momento all’altro. È il fallimento dell’ideologia del lavoro. È la fine dell’epoca pasoliniana.

UN ALTROVE CHE NON C’È

Non solo i due protagonisti e le loro donne, ma nessun “ragazzo di vita”, a ben vedere, è veramente cattivo nell’affresco di Caligari, nemmeno Il Brutto, il Grosso, il Lungo, il Corto. Tutti sono semplicemente “perduti” in una società squallida che li stritola senza scampo. E allora è meglio non guardarlo il mare, ché sennò ti vengono i pensieri. E per chi vive in borgata è meglio non averli. Non c’è spazio per i sogni. Nessuna alternativa allo squallore e all’abbrutimento. Nessuna prospettiva di miglioramento. A che pro sognare un altrove che non c’è?  

UN FILM CHE ARRIVA A TUTTI

Il cinema di Caligari è lì per tutti, perché è un’opera vera e vitale che sgorga come sangue e sudore e sperma. Nessun moralismo, nessun giudizio sui “ragazzi di vita” e su quel mondo che Caligari conosce molto bene. Raffinato e popolare insieme, il film rifugge ogni intellettualismo fine a sé stesso e lascia parlare la vita stessa, messa in scena attraverso una sceneggiatura quantomai efficace ed essenziale, un montaggio perfetto che gestisce i tempi al meglio (accelerando e rallentando a regola d’arte), eleganti carrellate scevre da intenti virtuosistici e musiche azzeccatissime che accompagnano coerentemente l’azione. Una maturità registica impressionante per uno che ha diretto solo tre film. Chissà quanto altro avrebbe potuto fare.

ATTORI FANTASTICI

Semplicemente straordinarie le interpretazioni di Luca Marinelli e Alessandro Borghi, sicuramente fra i migliori attori italiani della loro generazione. I loro personaggi sono intensi e reali, come è il cinema di Caligari. Riescono a essere eccessivi senza mai perdere di credibilità. La loro alchimia dona una forza incredibile al film in termini di emotività. Anche le figuri femminili ne escono più che bene, da Linda (Roberta Mattei) e Viviana (Silvia D’Amico), fino alla madre di Cesare (Elisabetta De Vito).    

cast non essere cattivo

UN CINEMA FUORI DAL TEMPO

Presentato fuori concorso a Venezia, dove ha ottenuto il Premio Pasinetti al miglior film e al migliore attore (Luca Marinelli) e scelto per rappresentare l’Italia alla selezione per l’Oscar 2016 al miglior film straniero (senza tuttavia riuscire a entrare nella short-list selezionata dall’Academy), Non essere cattivo non ha bisogno di nessun riconoscimento per essere goduto e apprezzato. Vive di vita propria. Il crudo realismo pasoliniano si contamina con la poesia del melodramma di periferia per dar vita a un cinema fuori dal tempo e dalle mode.

‘A VITA È DURA

L’ultimo urlo di Caligari è la storia del tentativo (naufragato) di non essere cattivi, perché ‘a vita è dura e si ‘n sei duro come ‘a vita non vai avanti. I buoni non sopravvivono al degrado e alla violenza. E spesso nemmeno i cattivi, a quante pare.

UNA GOCCIA DI SPERANZA?

L’incredibile vitalità dei protagonisti fa a pugni con il senso di noia e di inutilità che pervade l’interno film. Nessuno dei due però alla fine riesce veramente a riscattarsi. Non possono. E chissà se ci riuscirà il piccolo figlio di Cesare (la nuova generazione) inquadrato nello splendido finale, ultima goccia di speranza, perché la vita va comunque avanti, ancora e ancora, perfino in borgata, dove sarebbe meglio non nascere. Prima o poi cambierà qualcosa? Caligari non si esprime apertamente. Eppure il figlio di Cesare si chiama ancora una volta Vittorio.

Trailer Non essere cattivo

 

Non essere cattivo strugge, distrugge. Prende allo stomaco e al cuore. E riesce anche a divertire. Magnifico e stratificato, l’ultimo (immenso) regalo di Caligari a un mondo, quello del cinema, colpevole di averlo ignorato sempre.

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