Recensione The Lighthouse, un horror in bianco e nero

Recensione The Lighthouse, un horror in bianco e nero

Dopo l’esordio con “The Witch” nel 2015, il regista e sceneggiatore Robert Eggers si conferma come uno degli autori del genere horror più interessanti e peculiari degli ultimi anni. In effetti “The Lighthouse” non è il classico film di paura, ma riesce a spaziare tra più generi con notevole efficacia.

Trama

La trama è semplice: sul finire dell’Ottocento, due uomini sono incaricati di occuparsi del faro posto su un’isola remota al largo della costa del New England. Il custode più anziano, Thomas Wake (interpretato da Willem Dafoe) inizia a maltrattare il più giovane, Ephraim Winslow (Robert Pattinson) affidandogli incarichi sempre più pesanti e ingrati. Il rapporto tra i due uomini, costretti a condividere uno spazio ristretto per molti mesi, viene da subito mostrato come uno spietato alternarsi di momenti di cameratismo – nei quali perlopiù i due si ubriacano per sopportare il duro lavoro e la solitudine – ad altri di sconcertante violenza, sia fisica che mentale.

Il vecchio Wake infatti non perde occasione per umiliare sistematicamente il suo aiutante, che dapprima appare docile per poter conservare il posto di lavoro ma in seguito si ribellerà alle continue vessazioni. Oltre ai soprusi fisici, la pressione psicologica spinge Winslow in un baratro di allucinazioni e incubi sempre più persistenti, una discesa inesorabile negli inferi della follia amplificata dall’isolamento e dal senso di alienazione.

the lighthouse

Angoscia con stile

Il regista è abile nella costruzione di quello che è un racconto gotico a tutti gli effetti – il cosceneggiatore e fratello Max Eggers pare essersi ispirato a un racconto incompiuto di Edgar Allan Poe intitolato “Il Faro” – sia nelle tematiche che nella messa in scena. L’uso del bianco e nero non fa altro che accrescere il senso di straniamento dei protagonisti, un lucido incubo che ricorda la fotografia di “Eraserhead” di David Lynch e persino Buñuel e il suo “Cane Andaluso” del 1929.

La scelta stilistica è sicuramente uno dei punti di forza del film (candidato agli Oscar di quest’anno proprio per la fotografia), un gioco di ombre raccapriccianti e luci accecanti che accrescono il senso di claustrofobia degli ambienti e rendono i volti dei due protagonisti (soprattutto quello spigoloso di Dafoe) delle maschere grottesche e spaventose. Impossibile non pensare a “Shining” e alla sua eredità: l’isolamento in un luogo che diventa esso stesso un ulteriore protagonista (là era l’Overlook Hotel, qui è il faro di un’isola) che pare staccarsi dal tempo e lo spazio e rende folli i suoi ospiti provoca un senso di angoscia nello spettatore, che difficilmente rimarrà indifferente a questa pellicola.

Eggers utilizza i canoni del genere per reinventare un racconto di follia umana tra i più interessanti degli ultimi anni, infarcito di simbolismi mitologici senza risultare forzato e sospinto da due interpretazioni straordinarie da parte di Dafoe e Pattinson. Quest’ultimo in particolare, dopo anni passati a togliersi di dosso l’etichetta di vampiro di “Twilight”, riesce finalmente a dimostrare le sue innegabili qualità.

La sceneggiatura è di fatto il sogno di ogni attore: l’occasione per mettere in mostra ogni spettro delle emozioni umane, dall’introspezione all’esplosione più violenta del turbamento e, infine, alla pazzia.

In Italia, causa pandemia da Covid-19, il film non è uscito nelle sale ma è stato reso disponibile direttamente in streaming dalla Universal Pictures a partire dal 19 maggio.

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