Ricordiamo Gassman con la Recensione Il Sorpasso

Ricordiamo Gassman con la Recensione Il Sorpasso

A venti anni dalla scomparsa ricordiamo il ‘Mattatore’ riscoprendo un film-manifesto: “Il sorpasso”.

Il 29 giugno 2000 è venuto a mancare uno dei più rappresentativi interpreti del cinema e del teatro italiano: Vittorio Gassman.

In occasione del ventennale della sua scomparsa la tv ha offerto largo spazio, fra interviste, focus e film, all’indimenticabile ‘Mattatore’.

È più che doveroso per chi si definisce appassionato di cinema, soprattutto se omonimo, ricordare una  delle sue interpretazioni più celebri.

Il sorpasso è un film del 1962 diretto da Dino Risi.

La pellicola ha per interpreti principali Vittorio Gassman (Bruno Cortona), Jean-Louis Tritignant (Roberto Mariani), Catherine Spaak (Lilly Cortona), Luciana Angiolillo (Gianna, moglie di Bruno), Claudio Gora (Bibi, fidanzato di Lilly), Luigi Zerbinati (commendatore), Franca Polesello (moglie del commendatore), Linda Sini (zia di Roberto), Annette Strøyberg (turista tedesca), Nando Angelini (Amedeo), Mila Stanic (Clara), Edda Ferronao (cameriera a Civitavecchia) e Jacques Stany (automobilista toscano).

Con un incasso di circa un miliardo e duecento di vecchie lire, il film vanta fra i riconoscimenti il David di Donatello ed il Nastro d’Argento 1963 “miglior attore” a Vittorio Gassman.   

Considerato generalmente il Capolavoro del regista, il film è uno degli affreschi in celluloide più rappresentativi dell’Italia del benessere e del boom economico (’50-’60). 

il sorpasso

Trama

Roma, Ferragosto 1962. In una città deserta di primo mattino, Bruno Cortona, maturo spaccone nullafacente, sfreccia sulla sua Lancia Aurelia B24 convertibile alla ricerca di uno svago. Nella sua sfrenata voglia di vivere all’estremo coinvolge un timido studente di legge, Roberto Mariani, portandolo con sé in un viaggio senza meta sulla Via Aurelia. Una viaggio fra piaceri momentanei e fugaci svaghi per il giovane e ignaro Roberto risulterà l’iniziazione ad una vita mai sperimentata nella sua apatica ma sicura quotidianità. L’illusione di una futura svolta nelle relazioni familiari, nei rapporti sociali e nella riscoperta dell’amore sarà stroncata nell’ultimo gesto avventato che dà il titolo e chiude il film.

Analisi Film

Un ritmo incalzante scandisce l’azione che scorre veloce alternando brevi soste a spericolate corse on the road. Le pause che per poco interrompono il viaggio sono l’occasione per il regista di dipingere con schietto e spietato realismo il quadro di una nazione gaudente nelle sue illusioni di benessere che mal celano le speranze deluse di sogni falliti. Ma l’attenzione è rivolta anche e soprattutto a delineare due caratteri opposti che a lungo andare mostrano inaspettati punti di incontro. Un timido e pacato studente vive un’esistenza ai limiti dell’apatia e viene letteralmente travolto dall’eccessiva esuberanza di un maturo quarantenne. E quando si inizia a conoscere meglio la natura nascosta di entrambi – fuga da una realtà fallimentare di uno, inconscia e repressa ricerca di vita dell’altro – quella che sembrava una bravata si trasforma in un lento percorso di iniziazione alla spensieratezza senza freni che può riservare forti emozioni insperate. Il carattere emerso verso la fine nell’animo del giovane studente rende ancora più tragica la terribile conclusione in cui si può cogliere la spietata metafora di una implacabile critica ad una nazione che abbandona i sogni e si lascia sedurre dall’illusione di ciò che è facile scordandosi che la ricerca di piaceri senza freni a discapito di buoni propositi procede di pari passo con una fine che può coglierti nel momento più bello e più vissuto.      

Satira e Critica

Per comprendere meglio il concetto di commedia all’italiana basta citare la definizione che di questa offre uno dei suoi maestri:

“La commedia all’italiana è questo: trattare con termini comici, divertenti, ironici, umoristici degli argomenti che sono invece drammatici. È questo che distingue la commedia all’italiana da tutte le altre commedie […]” (Mario Monicelli)

Con questo termine viene indicato un filone cinematografico sorto in Italia nel corso degli anni cinquanta del XX secolo e sviluppatosi nei successivi sessanta e settanta.  L’espressione fu così coniata parafrasando il titolo di uno dei più grandi successi dei primi anni di questo genere (Divorzio all’italiana, regia di Pietro Germi). 

Più che di un vero e proprio genere di cinema, come potrebbero definirsi il western o il thriller, si può intendere con il termine suddetto un periodo in cui in Italia venivano prodotte principalmente commedie brillanti, ma con dei contenuti comuni come la satira di costume e l’ambientazione preferibilmente borghese, spesso caratterizzate da una sostanziale amarezza di fondo, che stempera i contenuti comici.  Il soggetto si mostra più schiettamente aderente alla realtà dove accanto a situazioni comiche e agli intrecci tipici della commedia tradizionale si affianca un’ironia pungente che riflette l’evoluzione della società italiana degli anni di riferimento.

Il contesto sociale è quello degli anni del boom economico (anni ‘50), cui faranno seguito quelli delle conquiste sociali (anni ’60), in cui ebbe luogo il mutamento radicale della mentalità e anche del costume sessuale degli italiani, la nascita di un nuovo rapporto con il potere e con la religione, la ricerca di nuove forme di emancipazione economica e sociale, nel mondo del lavoro, della famiglia e nel matrimonio. Nel corso degli anni ’70 si arriva a trattare tematiche di attualità sociale più complesse con opere di sottofondo tendenzialmente drammatico (cfr. Detenuto in attesa di giudizio, regia di Nanny Loy oppure Un borghese piccolo piccolo, regia di Mario Monicelli).

Gassman

Un manifesto in celluloide

Il forte taglio di critica sociale e di costume, seppure nascosto tra le pieghe comiche e divertenti, rende il film uno dei manifesti della commedia all’italiana meglio conosciuto dove compaiono alcuni innovativi e originali caratteri formali.

I due protagonisti, rispetto alla caratterizzazione macchiettistica e caricaturale tradizionali della commedia, risultano superiori in quanto psicologicamente completi e definiti. Bruno/Gassman è uno spaccone di facciata che nasconde la fragilità di un fallito. Ma soprattutto Roberto/Tritignant offre un ritratto molto intenso di un giovane timido, perdente, ma maturo nella sua coscienza di classe: attratto è da schemi sociali di successo ma allo stesso tempo è legato a precisi canoni di comportamento mutuati dal proprio gruppo d’appartenenza, la piccola borghesia romana lavoratrice (schiettamente rappresentata nella scena del casolare), che con le proprie virtù familiari si contrappone sia all’alta borghesia rampante e arrivista, sia al sottoproletariato urbano, ancora distante dai grandi processi economici.

Schema di narrazione nuovo è il duello psicologico Bruno-Roberto come innovativa è l’introduzione dell’io pensante del giovane Roberto a farci conoscere la contraddizione tra pensiero e azione che il ragazzo vive a contatto con il maturo compagno di viaggio ma soprattutto la progressiva iniziazione erotica e sociale che egli compie. I due protagonisti così diversi risultano invero uguali nel racchiudere in sé elementi positivi e negativi, si attraggono e si respingono tra loro, attraendo a loro volta lo spettatore verso due poli distinti e contrapposti d’identificazione sociale, in netto contrasto con quel univoco senso di sottile disprezzo e comica compassione che potevano mostrare personaggi di un altrettanto indimenticabile Alberto Sordi.

Altra caratteristica del tutto nuova è la più marcata presenza della mano del regista. La dinamica delle scene ed il succedersi dei piani sono estremamente più elaborati, a volte la ripresa sfuma nel documentarismo mentre i particolari di ambientazione sembrano imitare un cinegiornale del tempo.  Ad esempio nella scena del ballo in riva al mare, Risi non si limita a riprendere il lavoro corale di una squadra, composta peraltro da attori geniali, ma concepisce personalmente i piani-sequenza, determina a tavolino i ritmi delle scene e delle battute e decide a priori l’incisività e lo stacco di alcune di esse.   

Il risultato è allo stesso tempo leggero, godibile, divertente ma allo stesso tempo si propone come testimonianza, documentazione e denuncia che con la commedia c’entra poco.

Il Primo Road-Movie Italiano

Un elemento indissolubile dal film è rappresentato dalla strada. Il ritmo è veloce e scandito su precisi punti di accelerazione, mentre le battute memorabili di Gassman chiudono i tanti siparietti che nella pellicola si aprono e si chiudono con continuità seguendo uno schema poco teatrale ma molto cinematografico.  È la strada, nel suo rapporto attivo e passivo con i due protagonisti, che segna il percorso del soggetto che ha un punto di partenza preciso sino a concludersi tragicamente sulla curva di Calafuria, poco dopo il paese di Quercianella sul lungomare toscano. La strada da cui Bruno e Roberto si allontanano per brevissime soste ma a cui alla fine fanno sempre ritorno. La strada riflette la vita che procede imprevedibile ed il percorso di iniziazione per cambiare (indicativo quando Roberto trova il coraggio di riprovarci con la ragazza che ama). Ma allo stesso tempo si scorge la rappresentazione metaforica di una nazione che si avvia velocemente alla fine di un sogno, quello del benessere collettivo e generalizzato, per poi gettarsi in un vuoto che è carico di crudeli simbolismi.

“A Robe’, che te frega delle tristezze. Lo sai qual è l’età più bella? Te lo dico io qual è. È quella che uno c’ha giorno per giorno. Fino a quando schiatta… si capisce. ”

Pessimismo e Critica

Una vita giovane, onesta e ingenua viene stroncata mentre sopravvive quella più furba e sprezzante, spietata rappresentazione delle due identità della nazione che è giunta ad un bivio della propria storia: la prima, legata ai princìpi, sarà sedotta e morirà nella fine di un sogno, lasciando campo libero alla seconda Italia, quella furbesca, individualista e amorale. E forse proprio in questa profonda sfiducia in un certo tipo di italiano, alla critica dura alle sue abitudini e alla sua mentalità, si deve cercare ciò che rende il film di Dino Risi un manifesto della citata commedia all’italiana.  

La spavalderia apparente di Gassman e l’insicurezza iniziale di Tritignant sono lo strumento attraverso cui Risi dipinge una faccia dell’Italia del benessere, quella che illusa da un senso di libertà sconfinata cerca l’evasione in piaceri momentanei per riempire i vuoti di una realtà dura e costellata di fallimenti e incertezze.

Il gesto sconsiderato che dà il titolo al e che, forse non a caso, chiude la storia rimane una sconfitta che ricorda quanto la vita vera può essere spietata nel riportare con i piedi per terra cancellando l’illusione di un’evasione temporanea concessa da un benessere troppo facile che non può evitare la possibilità di una prematura scomparsa.

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