Sword of the stranger – Un racconto epico e realistico

Sword of the stranger – Un racconto epico e realistico

Un racconto epico e realistico che omaggia Sergio Leone e Akira Kurosawa

Giappone, epoca dei samurai. Un bambino in pericolo di vita che fugge da misteriosi inseguitori insieme al suo fedele cane da guardia, un ronin dal passato tormentato che ha giurato di non estrarre mai più la sua katana, un letale e spietato sicario dagli occhi blu in cerca di un degno sfidante… Questi gli ingredienti base del sorprendente Sword of the stranger, film d’animazione del 2007 dello Studio Bones (nato dalle ceneri della Sunrise e autore dei lungometraggi Escaflowne e Cowboy Bebop Knockin’ on Heaven’s Door e serie cult come RahXephonWolf’s RainFull Metal Alchemist Eureka Seven) per la regia di Masahiro Andō (key animator di Cowboy BebopShin Okuto no Ken e Blood-C).

Sword of The Stranger Scaled

Una storia semplice ma appassionante, narrata con uno stile realisticamente maestoso e evocativo che non mancherà di emozionare a più riprese lo spettatore. Per tutta la pellicola respirerete una certa aria di poesia e se siete amanti dei chambara, ovvero dei film di cappa espada giapponesi, allora amerete il lungometraggio di Andō.

Sul lato tecnico, l’opera è davvero eccelsa, a partire dalle animazioni incredibilmente fluide e dalla regia sempre pulita e dinamica che dà il meglio di sé nelle scene di combattimento, perfettamente coreografate e iperrealistiche nella scelta di gestire l’azione come se fosse stata filmata dal vivo, sfocature comprese (quando i personaggi si muovono velocemente, vanno fuori fuoco, come se si trattasse di attori in carne e ossa filmati da un cameraman).

Il piglio sobrio dell’opera si riscontra anche nella scelta cromatica, mai troppo accesa, mai troppo “cartoonesca”, e nell’accattivante character design di Tsunenori Saito che ricorda quello di Wolf’s Rain e che abbandona gli istinti deformed tipici di tanta animazione giapponese (che spesso valgono di per sé a classificarla come prodotto per bambini e adolescenti), proponendo invece personaggi maturi e ambientazioni realisticamente suggestive (bellissimi i poetici scorci invernali del Giappone medievale).

Sword of The Stranger Scaled

La sceneggiatura di Fumihiko Takayama non spicca certo per originalità, ma è ben scritta, dosa ottimamente i tempi narrativi e conferisce un certo spessore ai personaggi, di cui sicuramente il più affascinante è Nanashi, ovvero Senza Nome, samurai vagabondo tormentato dalle atrocità commesse in guerra e che dovrà fare i conti coi demoni del suo passato. Il sangue nei suoi ricordi scorre a fiotti. I suoi flash sono sempre spietati e brutali. Sword of the Stranger è un’opera matura che non indulge al manicheismo: nessun personaggio è senza macchia, nemmeno l’eroe salvatore di turno, ma almeno si intravede la possibilità di redimersi. E forse in ultima analisi è così che bisogna guardare all’opera di Andō, cioè innanzitutto come a una parabola di redenzione. Il racconto del salvataggio del piccolo Kotaro, la missione segreta degli assassini cinesi inviati in Giappone dall’imperatore Ming, lo scontro col temibile Rarou (uno dei più ispirati e suggestivi di tutta l’animazione degli ultimi anni) sono funzionali all’epopea del vero protagonista Senza Nome.

Altro punto a favore del film, la splendida colonna sonora di Naoki Sato che si accorda perfettamente all’atmosfera poetica della pellicola ammantandola di una malinconica epicità e rimarcandone i momenti topici.

Omaggio di Masahiro Andō a Sergio Leone e Akira Kurosawa, mostri sacri a cui il regista ha dichiarato di essersi ispirato per la creazione della sua opera, acclamato da maestri dell’animazione come Katsuhiro Ōtomo (il papà di Akira) e Hideaki Anno (Nadia – Il mistero della pietra azzurraNeon Genesis Evangelion), forse è esagerato definirlo capolavoro, se non altro perché non apporta nessuna innovazione rimarchevole, ma Sword of the Stranger rappresenta comunque una delle opere più interessanti dell’animazione orientale degli ultimi anni e vale sicuramente il prezzo del biglietto. Un’ora e quaranta ben spesa e che, siamo sicuri, porterete nel cuore per un bel po’ di tempo.

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