Prendete David Fincher, una pietra miliare del cinema internazionale come Quarto Potere, il ricordo del cinema del passato e avrete Mank, un prodotto sensazionale da vedere infinite volte.
Uscito su Netflix il 4 Dicembre, uno dei film più attesi dell’ultimo periodo ed una delle novità di dicembre 2020, che ancor prima di fare la sua apparizione sul piccolo schermo (purtroppo), sentiva il profumo di candidatura all’Oscar in diverse categorie. Vediamo nel dettaglio però di cosa tratta effettivamente Mank.
Trama Mank
Il film pone la sua attenzione intorno alla storia dello sceneggiatore Herman J. Mankiewicz, interpretato da Gary Oldman, e della lavorazione di “Quarto Potere” diretto da Orson Welles, ripercorrendo la genesi e le difficoltà produttive affrontate nella stesura della sceneggiatura, fino alla successiva lotta per i diritti tra Mankiewicz e Welles dopo che il film vinse l’Oscar alla migliore sceneggiatura originale.
Orson Welles e il suo Quarto Potere rappresentano la luce di Hollywood tra gli anni ‘30/’40, quando il 24enne riuscì a stregare totalmente l’industria del cinema, che ancora oggi lo considera come uno dei più grandi registi e visionari del grande schermo. Welles è divenuto così famoso grazie al suo carisma e geniale talento quanto per il suo carattere abbastanza.
Ma se da un lato della medaglia troviamo l’esaltazione totale degli addetti ai lavori, dall’altro lato vi è la verità che vede Mankiewicz autore della sceneggiatura tanto acclamata.
Cast
Protagonista assoluto, che strizza già l’occhio ad una futura candidatura per la statuetta è Gary Oldman, bravissimo in ogni dettaglio, ci regala una performance superba arricchita da sguardi e gesti che lasciano trapelare un niente che in realtà è tutto.
Tra gli altri, merita una menzione importante Amanda Seyfried, ottima nell’interpretazione di Marion Davies, Lily Collins con la sua Rita Alexander e Charles Dance nel ruolo di William Randolph Hearst.
Orson Welles, seppur poco presente sullo schermo, è interpretato da Tom Burke.
Analisi e Recensione
All’annuncio di un film ispirato al passato, in bianco e nero e diretto da Fincher, tra lo stupore di tutti, è nata fin da subito una grande aspettativa nei confronti di Mank, che ai posteriori possiamo dire che non ha deluso minimamente.
Frutto di un ottimo montaggio e di una fotografia a dir poco impressionante, Mank è un prodotto ben riuscito che dispiace vedere su una piattaforma e non sul grande schermo dove merita di stare per essere apprezzato pienamente.
Fincher si basa sulle stesse linee di Quarto Potere. Le inquadrature seguono gli stessi ritmi, una struttura lineare e un montaggio che ricorda molto il “padre” di questo film. Il regista seppur in modo molto romanzato, non rappresenta la Hollywood magica a cui tutti noi siamo abituati, fa esattamente il contrario: ci mostra quali erano i grandi problemi dell’industria di un tempo e che dopotutto se si guarda con occhio attento, si intravedono tutt’oggi. Questo non viene mostrato in Mank, ma ci arriva fortemente, quasi bucando lo schermo direttamente dai dialoghi, dalle relazioni, i personaggi che si alternano davanti lo schermo e soprattutto il modo di fare del suo protagonista.
Quello che David Fincher fa con il suo protagonista, in modo molto velato, ma percepibile ai più attenti ed in particolare a chi conosce il capolavoro su cui si basa Mank, è sovrapporlo nel corso degli eventi a Charles Kane. Entrambi gli uomini ci vengono mostrati come persone solitarie, burberi, che preferiscono soffrire per il proprio male in silenzio piuttosto che chiedere aiuto alle persone care. I flashback continui sono ancora una volta un richiamo a Citizen Kane, ogni piccola parte ci porta a scoprire un nuovo lato di Herman, del suo carattere e del contorno cinematografico in cui viveva.
Seppur in alcune parti, il film sembra arrivare a culmini di lentezza che potrebbero far distogliere l’attenzione allo spettatore, grazie alle tonalità di grigio, alla caratterizzazione dei personaggi e alla storia che regala continue rivelazioni, non ci si annoia mai.
Curiosità
- In un’intervista, coloro che si occupano della musica (Trent Reznor e Atticus Ross) hanno dichiarato: “Tutto è stato compresso e fatto suonare e apparire come fossimo veramente negli anni ’40. la musica è stata registrata con microfoni più vecchi, quindi c’è questa sorta di respiro sibilante lungo i margini: si ottiene dagli archi ma principalmente dagli ottoni”.
- Non serviamo certo noi per dirvi che il film è stato girato in bianco e nero per rispettare al meglio il periodo storico e soprattutto per mandare un messaggio d’amore verso il cinema del passato.
Conclusioni
Un prodotto che meritava come già detto, il grande schermo per apprezzare al meglio ogni dettaglio. Grazie al suo approdo su Netflix però, adesso non avrete scuse per non vederlo. Fatevi un regalo, superate questo “blocco” del cinema in bianco e nero e apprezzerete questo film in ogni suo piccolo dettaglio.
Trailer
Se tuttavia, volete godervi pienamente la visione, ci vorrà prima un bel ripasso di Quarto Potere, qui la recensione di Quarto Potere.