Recensione Judas and the Black Messiah

Recensione Judas and the Black Messiah

Ottimisticamente parlando, una persona su 100 potrebbe effettivamente agire nel migliore interesse di tutti gli altri invece di limitarsi a badare a se stessa. Il che significa che per ognuno di quegli individui altruisti, ce ne sono 99 più preoccupati solo per la propria micro-esperienza rispetto a quella della comunità che li circonda.

Judas and the Black Messiah, il film di Shaka King su Fred Hampton (Daniel Kaluuya), il carismatico leader della sezione dell’Illinois del partito Black Panther alla fine degli anni ’60, e Bill O’Neal (LaKeith Stanfield), l’uomo che si sarebbe infiltrato nell’organizzazione e lo avrebbe tradito all’FBI, è una testimonianza di questo principio umano più eclatante – ricordato, come afferma con forza il titolo del film, nella Bibbia – e uno dei fondamenti confondenti della civiltà umana.

TRAMA

Hampton era un giovane di 20 anni quando divenne presidente della sezione dell’Illinois delle pantere nere a Chicago, e i suoi successi attirarono immediatamente l’attenzione di J. Edgar Hoover (qui interpretato da Martin Sheen), ossessionato dall’idea che il movimento per i diritti civili avesse legami intarsiati con i comunisti. Mettendo sempre più sotto pressione il suo ufficio di Chicago per disinnescare Hampton, l’agente Roy Mitchell (Jesse Plemons) ingaggia O’Neal, recentemente arrestato per aver impersonato un agente dell’FBI, e gli offre una possibilità per la sua libertà, ma a costo di giocare a fare la spia tradendo il presidente Fred e tutto il movimento delle pantere nere.

IL PERSONAGGIO DI FRED HAMPTON E LE PANTERE NERE

Il film di King presenta performance assolutamente sfolgoranti dei suoi due protagonisti maschili. Kaluuya (già candidato all’Oscar per Get out), in particolare, è incredibilmente bravo a trasmettere l’umanità intrinseca di Hampton, i modi in cui si è connesso col suo pubblico, indipendentemente dalla loro razza o credo – oltre al fatto che il suo rapporto con Deborah Johnson (Dominique Fishback), collega di Hampton e poi compagna, conferisce un calore autentico alla vicenda.

Per tutta la durata del film c’è un forte focus narrativo che mantiene la linea tesa, anche se sai esattamente cosa sta per succedere.
Il film riesce a ritrarre Hampton in termini puramente umani, radicato nella realtà della lotta, ed evita inutilmente di deificarlo nel processo. Nonostante le implicazioni bibliche del titolo, Hampton non è divino. In effetti, è la sua stessa umanità che rende la sua perdita ancora più sconvolgente. Hampton e i Panthers non si occupavano della “riforma” di cui parlava il dottor King, stavano cercando niente di meno che la rivoluzione, un’insurrezione armata, se necessario. Ma questo non vuol dire che fossero una giunta quasi militare desiderosa di potere personale: l’organizzazione, sotto Hampton in particolare, si è rivolta alle comunità diseredate di tutti i colori e religioni – come dice Hampton a un certo punto, “non puoi imbrogliare la tua strada verso l’uguaglianza “- fornendo cibo e programmi di assistenza all’infanzia al posto dei dolorosi fallimenti del governo locale esistente. La gente lo chiamava “Presidente Fred” affettuosamente, non con ironia.

Judas and the Black Messiah

IL GIUDA DELLA STORIA E IL RAPPORTO CON L’FBI

La storia pone il focus anche sull’altro personaggio protagonista, l’informatore dell’FBI William O’Neal, un piccolo ladro di una volta che si è fatto strada per diventare capo della sicurezza delle Pantere Nere di Hampton. Ha poi fornito informazioni che hanno portato all’assalto dell’appartamento di Hampton. Il film si trova in uno spazio viscido e claustrofobico: la coscienza sporca di O’Neal. Il regista osa umanizzare quell’uomo e quello spazio; di conseguenza, questa storia diventa una favola del tradito e del traditore.
LaKeith Stanfield, star di Atlanta, ritrae O’Neal come un’affascinante serie di evasioni, segreti e lealtà conflittuali, che divorano il personaggio dall’interno. Se il film ha un’omissione lampante, è la mancanza di un senso della vita emotiva interiore di O’Neal. Sebbene rimanga uno dei protagonisti, le sue motivazioni e le sue riserve restano in gran parte inesplorate. Stanfield dà comunque ampiezza alla performance per mantenere il film ragionevolmente equilibrato, a prescindere dalle eventuali lacune.

Jesse Plemons, una presenza ipnotica, fa di Mitchell un uomo di legge di ambigua complessità, alle prese con la sua breve lotta con la coscienza sporca.
Al contrario, il Bureau – un gruppo di uomini bianchi in abiti scuri, che sfruttano la loro naturale aria di superiorità al servizio dei capricci di Hoover – agisce completamente nell’ombra, sia letteralmente sia moralmente. Non per niente O’Neal continua a incontrare Mitchell, il suo “agente informatore”, in costose steakhouse; e non per niente King il più delle volte fa in modo che l’agente bianco fumi un grasso sigaro, esattamente come il tipo di sindacato criminale di Chicago contro cui il Bureau era stato formato per colpire in primo luogo. (Plemons, va detto, ha una qualità non dissimile da quella del brillante e defunto Philip Seymour Hoffman: il suo aspetto  può essere usato altrettanto efficacemente come oppressore o oppresso.)

IL REGISTA E IL LAVORO SUGLI EVENTI REALI

King, che ha co-scritto la sceneggiatura, riduce la storia alla sua essenza senza rimanere inutilmente soffocato nei dettagli. Il film è troppo interessante per preoccuparsi di rendere le cose facili o catartiche per un nero, un bianco o qualsiasi tipo di pubblico. Invece vede gli eventi attraverso un prisma, preoccupante di un personaggio della vita reale meno conosciuto, il Giuda del titolo.

Vediamo il buon senso di Hampton e la sua capacità di entrare in contatto con persone di qualsiasi credo o colore. L’elemento più snervante del suo programma per l’FBI di Hoover era la cosiddetta “Rainbow Coalition”, dove ha riunito i Panthers con le gang di Black Street, ma anche gruppi portoricani e, sorprendentemente, coalizioni di soli bianchi, uniti sotto la voce comune dell’essere poveri e maltrattati dal dipartimento di polizia notoriamente corrotto e razzista di Chicago – ma anche la sua assoluta convinzione nel mantenere il potere politico nelle mani del persone, non del governo.

Judas and the Black Messiah non addolcisce la retorica infiammatoria di Hampton, e certamente non attenua il coordinamento delle autorità federali, della contea di Cook e di Chicago nell’uccisione di Hampton.

Judas and the Black Messiah

UNA STORIA CONTEMPORANEA

La garanzia visiva di Judas and the Black Messiah è formidabile, grazie al direttore della fotografia Sean Bobbitt (che ha girato diversi film di Steve McQueen, tra cui 12 anni schiavo) e alle evocazioni efficaci e relativamente a basso budget della Chicago della fine degli anni ’60, anche se le riprese hanno richiesto posto a Cleveland.
La storia di Chicago, del brutale e subdolo spargimento di sangue istituzionale è, per usare un eufemismo, la storia con cui conviviamo tutti, ancora. La vicenda vividamente forgiata sembra il presente e gli attori ne colgono l’attimo.

RICONOSCIMENTI E OSCAR 2021

Judas and the Black Messiah ha ricevuto diverse nomination agli Oscar 2021 e ha vinto diversi premi, tra cui il principale a Daniel Kaluuya come Miglior attore non protagonista sia ai Golden Globe 2021, al British Academy Film Awards e agli ultimi Oscar 2021. 

Inoltre è stato uno dei vincitori Oscar 2021 anche per la Miglior canzone per Fight for You.

Dove vedere Judas and the Black Messiah

La pellicola è disponibile a noleggio sulle principali piattaforme streaming: Apple Tv, Amazon Prime Video, Youtube, Google Play, Tim Vision, Chili, Rakuten TV, PlayStation Store, Microsoft Film & TV.

Trailer Judas and the Black Messiah

Leggi anche le recensioni dei premi Oscar 2021:

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